top of page

FABIO ZUFFANTI “Sacre sinfonie. Battiato: tutta la storia”


Torna in libreria Fabio Zuffanti, e lo fa con “Sacre sinfonie. Battiato: tutta la storia”, quarta opera che l’artista genovese dedica all’indimenticato Franco Battiato.


La domanda che spesso ci poniamo è: perché accade che alcuni personaggi del mondo dell’arte e dello spettacolo, pur avendo lasciato la vita terrena pare siano ancora tra di noi con il loro carisma - rimasto integro - e con la loro opera che continua a pulsare nell'animo delle persone?  

Ebbene, appare evidente che la poderosa eredità che Franco Battiato ci ha lasciato, non solo ha fatto la storia, ma è diventata, come in questo caso, motivo di studio e di ricerca.

Un Battiato che oggi rappresenta un modello di sperimentazione, ricerca e spiritualità da emulare e soprattutto far conoscere alle future generazioni.

Di tutto ciò se n’è accorto e occupato Fabio Zuffanti eclettico artista che in circa trent’anni di carriera nel mondo della musica e della scrittura ha già fornito un ricco contributo a favore degli appassionati. Moltissimi sono infatti gli album sinora prodotti come musicista, sia da solista che con band che egli stesso ha fondato negli anni, e tanti sono anche i libri pubblicati come scrittore. Opere letterarie orbitanti attorno a vari generi quali narrativa, saggio, poesia ecc., e non mancano neppure articoli su riviste musicali specializzate e notissime al grande pubblico nazionale e internazionale.

Critico musicale, giornalista, musicista e scrittore, Fabio ha voluto dedicare al grande maestro Franco Battiato il suo ultimo libro dal titolo "Sacre sinfonie. Battiato: tutta la storia”, edito da "Il Castello Edizioni", che oltre a raccontare fatti e aneddoti realmente accaduti nella vita del maestro, si impreziosisce della fantasia dell’autore il quale, così facendo, imprime all’opera un carattere ricercato ed elegante che la trasforma in una biografia romanzata.

Ma considerato che l’autore continua a raccontare storia e vicissitudini dell'artista siciliano, sarà davvero "tutta" questa storia, come recita autorevolmente il titolo del libro?

Ho voluto con piacere, scambiare qualche battuta proprio col diretto interessato, allo scopo di poter offrire una panoramica sull’opera letteraria in questione, e nel contempo proporre, per i pochi che non lo conoscono ancora, il suo ricco e prestigioso profilo artistico.


Fabio anzitutto grazie per avere accettato il mio invito.

Possiamo sicuramente parlare di te come di un artista in continuo fermento, tante e diversificate sono le tue esperienze in campo artistico e culturale. Dai vari progetti musicali di cui fai parte e nei confronti dei quali in ognuno hai impresso un tuo marchio stilistico, alla brillante attività di critico musicale che onori con apprezzate pubblicazioni a favore di personaggi che hanno fatto la storia della musica italiana e con la redazione di articoli su vari magazine come ad esempio Rolling Stone Italia e Ondarock solo per citarne un paio. Come e quando Fabio si accorge di avere le carte in regola per poter padroneggiare sia la parola musicale che quella letteraria?


Non è stato qualcosa di immediato o consapevole fin dall'inizio. È avvenuto piano piano, con naturalezza, attraverso una serie di intuizioni, tentativi, errori, esperienze. Non ho mai studiato musica in modo accademico, e nemmeno mi sono laureato in lettere o ho seguito corsi di scrittura. Sono autodidatta in entrambe le discipline. Però suono, compongo e scrivo, spinto da una passione che si è fatta strada da sola dentro di me. Non c'è stato un momento preciso in cui mi sono detto: “Ora so come si fa”. È stato piuttosto un cammino, un susseguirsi di piccole scoperte. All’inizio c’era solo la curiosità, prima di tutto nei riguardi della musica. Quando ero bambino, mio fratello maggiore aveva una stanza piena di dischi. Lui ascoltava la musica degli anni ’70: Genesis, King Crimson, Pink Floyd, ecc. e io la interiorizzavo. Quando poi sono diventato adolescente, negli anni '80, ho seguito i suoni di quel periodo, quelli più vicini alla mia generazione. Sempre grazie a mio fratello, mi sono avvicinato agli strumenti. In casa c’era un basso, una chitarra, un amplificatore. Lui suonava, e io, quasi per imitazione, ho iniziato a prenderli in mano. All’inizio non sapevo nemmeno dove mettere le dita. Suonavo a orecchio, provavo, sbagliavo, ritentavo. Poi le classiche band scolastiche e, qualche tempo dopo, l’incontro con i ragazzi dei Finisterre. Lì è iniziata davvero la mia carriera discografica. In tutto ciò ho cercato il mio suono, il mio stile, senza preoccuparmi troppo di essere tecnicamente impeccabile, per me l'importante è sempre stato comunicare passione ed energia. Parallelamente è cresciuto in me l’interesse per la composizione. All’inizio erano solo piccole idee, frammenti di melodia, intuizioni che non sapevo come sviluppare. Poi, man mano che prendevo fiducia, sono arrivate le prime vere canzoni, i primi tentativi più articolati. È una cosa che si affina col tempo. Più componi, più comprendi quali sono i tuoi limiti, ma anche quali sono le tue risorse. Ancora oggi, dopo tanti anni, non ho smesso di imparare. Anzi, continuo a sentire la composizione come un terreno in continua evoluzione. In tutto questo percorso, ho capito anche quanto sia fondamentale circondarsi dei giusti partner. Ho imparato moltissimo lavorando con Luca Scherani, Boris Valle, Stefano Marelli, Alessandro Corvaglia, Stefano Agnini, Andrea orlando, Edmondo Romano, Agostino Macor e tanti altri del nostro “giro” genovese. Tutti loro ne sanno molto più di me, a livello teorico, e mi hanno insegnato tanto. La musica però non è l’unica mia passione. Scrivo da sempre. Ho iniziato da adolescente, con le poesie. Poi sono arrivati i racconti brevi, le recensioni di dischi. Imitavo quelle che leggevo con attenzione maniacale su riviste come “Ciao 2001”, “Rockerilla”, “Rockstar”. Mi piaceva capire cosa c’era dietro un disco, farmi guidare nella scoperta. E pian piano ho iniziato a mettermi alla prova. Anche qui, è stato un cammino nel quale ancora oggi cerco di migliorarmi, leggendo, studiando, confrontandomi con altri. Ho scritto articoli, testi musicali, saggi, anche forme più complesse come il romanzo. È una sfida, certo, ma anche una necessità. Scrivere e suonare sono due parti essenziali del mio modo di stare al mondo.


Oltre, come detto, ad aver fondato band a carattere soprattutto Rock Progressivo, e parliamo di Finisterre, Maschera di cera, Höstsonaten ma ce ne sarebbero altre ancora da citare, ti sei cimentato, e direi con grande successo, anche nella scrittura come romanziere, saggista, poeta ecc. Con quale delle due attività - entrambe legate al mondo musicale -  hai più confidenza? O meglio, quale delle due per qualità intrinseche ti permette di esprimere al meglio la tua creatività?


Fino a qualche anno fa - direi fino al 2019 - avrei risposto senza esitazione che la musica era il mio unico e decisivo modo di esprimermi. Non solo: era anche ciò che volevo continuare a fare per sempre. Però, a un certo punto, qualcosa è cambiato. È subentrata una crisi, non una di quelle passeggere, ma una di quelle che ti fanno mettere tutto in discussione. Avevo registrato decine di dischi,

mi ero misurato con moltissimi generi, avevo sperimentato, suonato in mille contesti diversi. Avevo dato tanto, quasi tutto, alla musica. Così, allo scoccare dei cinquant’anni, mi sono trovato a chiedermi: “E adesso cosa faccio?”.

C'era inoltre un altro elemento, molto concreto: la crisi profonda del mercato musicale. Soprattutto per chi, come me, si dedica a una musica di nicchia,

fuori dalle logiche commerciali. La realtà è che arrivare a un minimo di stabilità economica con questo tipo di musica è sempre stato difficile, ma a un certo punto è diventato quasi impossibile. Quindi, più che una scelta, è stata una necessità:

ho dovuto reinventarmi. E ho pensato che se c’era un altra disciplina che potesse appartenermi davvero, era quella dello scrivere. Così negli ultimi anni ho dato molto spazio alla scrittura. Ed è stata una scoperta. Una scoperta di un altro modo di esprimermi, più ampio, più diretto, più articolato. Con la musica puoi evocare, suggerire, emozionare anche senza parole, ma dipendi in parte anche dalla sensibilità di chi ascolta. Non tutti colgono lo stesso messaggio. Con la scrittura, invece, puoi essere più preciso, esplicito. La parola scritta arriva in modo diretto. Senza contare il fatto che se vuoi un libro te lo devi comprare, la musica invece puoi averla gratis, cosa tremenda per chi ci spende tempo e fatica.

In ogni caso anche quando scrivo il mio pensiero ruota attorno alla musica.

È come se tutto tornasse sempre lì. Col tempo ho capito che queste due forme espressive, musica e scrittura, si compenetrano, si nutrono l’una dell’altra.

Non c’è una gerarchia tra le due.


Nell’arco di questi ultimi sette anni, tra le altre cose, sono ben quattro le pubblicazioni che hai dedicato al grande maestro Franco Battiato, l’ultima delle quali Sacre Sinfonie. Battiato: tutta la storia. Di cosa parla e come nasce questo ennesimo progetto letterario?


A un certo punto ho sentito il bisogno di raccontare in modo ampio e accessibile la sua storia di Franco. Ho voluto scrivere un libro che potesse arrivare anche a chi non è per forza un suo fan, ma magari è semplicemente curioso di scoprire chi fosse davvero Battiato. Sono partito dall’infanzia in Sicilia, passando per il trasferimento a Milano, gli anni della musica leggera, quelli della sperimentazione estrema, il grande successo popolare, le sue metamorfosi continue, le opere, la pittura, il cinema... Ho cercato di mettere tutto, di non lasciare nulla indietro. E l’ho fatto scegliendo una forma “ibrida”, in bilico tra saggio, biografia e romanzo. Una narrazione che tenesse insieme fatti documentati - interviste, articoli, materiali d’archivio - con una scrittura narrativa, coinvolgente. L’idea era quella di raccontare la sua vita con il ritmo e la tensione di un romanzo, così che il lettore avesse voglia di voltare pagina, di sapere “come va a finire”. Per me è stata un’evoluzione, un modo per far crescere la mia scrittura, per non restare fermo alla biografia tradizionale. Quel libro è anche un ritratto dell’Italia: ci sono i cambiamenti sociali, quelli musicali, i mutamenti culturali che hanno attraversato il nostro Paese mentre Battiato compiva il suo percorso. È uscito fuori un libro ricco e dettagliato sotto molti punti di vista, ma allo stesso tempo accessibile. Perché la mia scrittura non è mai intellettuale o accademica. È una scrittura di cuore, istintiva, fatta per arrivare alle persone. Ed è questa, in fondo, una delle lezioni più grandi che mi ha lasciato Battiato: fare le cose in profondità, ma senza mai perdere il gusto di comunicare.


Oltre l’amore personale credo per la sua opera e per quanto ha saputo collocare all’interno del panorama musicale italiano, cosa pensi ti possa legare a lui, sia sotto il profilo umano che artistico? Esiste un punto convergente con quello dell’artista siciliano nel tuo percorso dentro e fuori l’arte musicale?


Ciò che mi lega profondamente a Franco Battiato è, prima di tutto, la sua curiosità. Una curiosità sconfinata, instancabile, che ho fatto mia in modo del tutto naturale - forse istintivamente, forse perché ho amato così tanto il suo lavoro che, senza nemmeno rendermene conto, ne ho assorbito lo spirito. Quando l’ho scoperto ero ancora un ragazzino, non sapevo bene chi fossi né cosa volessi fare nella vita, ma qualcosa in lui mi risuonava profondamente, come un’intuizione. Mi colpiva il fatto che Franco fosse capace di attraversare mondi così diversi, apparentemente inconciliabili. Che nel 1972 avesse inciso “Fetus”, un disco visionario, sperimentale, e dieci anni dopo “La voce del padrone”, un capolavoro pop. C’era in lui una libertà che mi affascinava: riusciva a muoversi tra i generi con naturalezza, a cambiare pelle ogni volta, restando sempre sé stesso. Ogni disco era una sorpresa, un'esplorazione, un nuovo capitolo di una ricerca che non si fermava mai. Quella sua capacità di spaziare, di rinnovarsi, di non porsi mai dei limiti, è diventata per me un modello. Ho pensato: se un giorno farò musica anch’io, voglio fare così. Voglio mettermi alla prova in tanti linguaggi, perché la musica per me è una passione totale, che abbraccia mondi diversi tra loro. Amo il progressive, certo, ma anche l’elettronica, il cantautorato, l'ambient, il folk, il jazz, la classica, il noise, la sperimentazione... e mi piace attraversarli tutti, cercando ogni volta di dire la mia. In questi anni ho pubblicato quasi cinquanta album, tra progetti solisti e collettivi. Con gruppi come i Finisterre o La Maschera di Cera ho lavorato in ensemble, condividendo il percorso creativo con altri musicisti. In altri casi, ho seguito un mio percorso più personale, cercando di esprimere in pieno la mia visione artistica. In tutti i miei lavori, però, ho sempre cercato di mettere dentro tutto il mio amore per la musica a 360 gradi. Questa attitudine la devo proprio a Battiato. È lui che mi ha insegnato a non restare mai fermo. Il suo esempio mi ha accompagnato in ogni fase del mio percorso, e continua a farlo ancora oggi.


Hai scritto anche di Branduardi e so che stai preparando nuove opere letterarie dedicate a personaggi di successo del mondo dello spettacolo e della cultura. Quale ruolo attribuisci alla letteratura in relazione a questo tipo di lavoro di studio e di ricerca?


Sì, ho scoperto che mi piace raccontare le vite altrui. Di solito parto dall’amore profondo per un artista. Che sia un musicista, come nel caso di Battiato o Branduardi, o un regista, come nel progetto su cui mi sto dedicando in questo periodo: un libro su Andrej Tarkovskij, una delle grandi passioni della mia vita. Il cinema in generale è sempre stato importante per me, ma il lavoro di Tarkovskij rappresenta qualcosa di unico, una fonte continua di ispirazione e meraviglia. Potrei dire che, per me, Tarkovskij è sullo stesso piano di Battiato. Se Franco mi ha insegnato la curiosità, a livello musicale e umano, Tarkovskij ha messo in scena le immagini del mio mondo interiore. Nei suoi film, anche le cose più semplici - un albero, una pozzanghera, la pioggia - diventano porte verso un altrove. C’è sempre qualcosa oltre l’immagine, una dimensione nascosta, intima, spirituale. I suoi film evocano nostalgia per un mondo che abbiamo perso, o forse che abbiamo soltanto intravisto da bambini, quando eravamo ancora puri. Battiato, Branduardi, Tarkovskij... artisti che stimo profondamente, che mi hanno dato ispirazioni e visioni e che sento il bisogno di raccontare. L’impulso che mi muove è sempre lo stesso: la voglia di condividere, di divulgare, proprio come quando scrivo per Rolling Stone. Mi piace lavorare per una rivista che si rivolge al grande pubblico. Per me è importante far conoscere le cose che amo al più ampio numero di persone, sperando che anche altri possano appassionarsi grazie a quello che scrivo. È un'altra cosa che sento di avere in comune con Battiato. Anche lui, quando scopriva qualcosa che lo entusiasmava - una dottrina, un libro, una musica - faceva sempre in modo di condividerla con gli altri. Io, nel mio piccolo, cerco di fare lo stesso: raccontare artisti, dischi, storie che meritano attenzione, con l’augurio che chi legge possa scoprirle e farle proprie.


Un’ultima domanda, se vogliamo un po’ più personale e direi oltretutto anche più confidenziale col sottoscritto ma che ci tengo a fare. Quando ci siamo conosciuti in quel di La Spezia, nel gennaio 2012 in occasione del “Prog Liguria”, giornata nella quale, grazie alla tua esibizione e a quella di molti altri musicisti vennero raccolti fondi a favore dei territori alluvionati della provincia, eri già un ottimo musicista, affermato e con alle spalle svariati progetti e album musicali pubblicati, pur tuttavia, ancora poco conosciuto come scrittore. Ti aspettavi lo stesso successo anche in quest’ultimo campo?


Ricordo bene il Prog Liguria del 2012,

fu davvero un bel momento di unione tra tanti musicisti per una giusta causa. In quel periodo non avevo in mente l’idea di diventare anche scrittore.

Non ci pensavo proprio, anche se avevo già pubblicato il mio primo libro: un piccolo pamphlet di protesta contro la “malamusica”, intitolato “O Casta Musica”. Ma era più uno sfogo personale che un progetto letterario serio. Il successo che nel tempo ho ottenuto con i libri è molto diverso da quello con la musica. Nella musica mi rivolgo a un pubblico di nicchia, anche se sparso in tutto il mondo. Ho ricevuto ottimi riscontri, ma resta comunque una nicchia. La scrittura, invece, mi ha permesso di raggiungere un pubblico molto più ampio. I miei libri hanno avuto vendite decisamente superiori rispetto ai dischi, che sono pubblicati da piccole e volenterose etichette. Con i libri ho avuto la fortuna di lavorare con grandi editori, il ché ha dato una spinta in più alla mia visibilità. Ma ancora di lavoro da fare ce n'è molto.

Non posso fare altro che ringraziare nuovamente Fabio per questo suo gradito contributo. Il suo pensiero, nobile e profondo, esprime ancora una volta, seppur ve ne fosse bisogno, quanto le passioni, la curiosità e la voglia di scoperta siano in grado di favorire la creatività e nondimeno, stimolare genio e talento


Vinicio Salvatore Di Crescenzo


 
 
 

Comments

Rated 0 out of 5 stars.
No ratings yet

Add a rating
abstract Background

Grazie per la tua iscrizione!

320 6431025 Linea Diretta

© 2025 By Multimedia Art Projects

  • Facebook
  • Instagram
  • YouTube
  • Telegram
  • Whatsapp
bottom of page